Incontri: BRISIGHELLA, 6 dicembre 2014 |
In attesa del notiziario della nostra Associazione Nazionale, ci onoriamo di pubblicare l’intervento del dott. Nicola TROILO, nell’incontro del 6 dic. u.s., in quel di Brisighella.
Saluto e ringrazio tutte le autorità locali, i cittadini dì Brisighella, le insegnanti e gli insegnanti e infine gli alunni delle scuole per l’accoglienza che hanno voluto riservare al ricordo della Brigata Maiella.
Il 15 luglio 1945 ero presente alla cerimonia di scioglimento della Brigata che avvenne nella piazza principale della vostra bella cittadina. Avevo appena compiuto quindici anni e quell’evento resterà per sempre nel mio ricordo perché fu un giorno di grande entusiasmo ma anche di profondo dolore perché vedevo sfilare per l’ultima volta quei ragazzi e quegli uomini maturi che avevo conosciuto ed amato in un anno e più di guerra. Molti li conoscevo e mi conoscevano, mi chiamavano tutti Nicolino, ero un po’ la loro mascotte. Ma ero già stato qui qualche tempo prima, nel gennaio 1945, subito dopo il ritorno al fronte della Brigata dal riposo natalizio di Modigliana. Il comando, affidato al nostro valoroso Vice Comandante Domenico Troilo, era allora a Zattaglia ma mio padre era alloggiato qui, nella villetta di una vostra concittadina, l’insegnante Ines Scagliarini: spero di ricordare bene il nome ma se qualcuno di voi la ricorda o vi sono qui dei parenti vi prego di correggermi se ho sbagliato. Era una signora molto gentile e cordiale di cui conservo un affettuoso ricordo.
Sono passati settanta anni, un’eternità! Ma siamo ancora qui, anche se in pochi per il trascorrere ineluttabile del tempo. Dovrei oggi parlare ai giovani, agli studenti che affollano questa sala. Ma vi dico subito che lo ritengo un compito molto difficile. Voi ragazzi di oggi siete così diversi da come eravamo noi; voi avete tutte queste cose per comunicare: la televisione, il computer, i telefonini, gli i-phone e gli i-pad o come diavolo si chiamano. Noi, per comunicare; avevamo solo la penna con il pennino e la boccetta di inchiostro e, per scrivere, un bel foglio bianco o per chi come me aveva una scrittura pessima un foglio a righe.
Mi dicono - anche in questa sede è stato detto - che noi anziani abbiamo il dovere dì trasmettere ai giovani la memoria storica della Resistenza e della guerra di Liberazione per far comprendere da dove vengono la libertà e la democrazia di cui godete ma, ripeto,lo trovo un compito molto difficile: ho già parlato più volte nelle scuole e ho sempre visto pochi visi attenti e partecipi, molti visi indifferenti ed anche qualcuno evidentemente infastidito. Attenzione non c’è nulla di male in tutto questo e per farvelo capire vi racconterò una storiella personale.
Mio padre era un appassionato del Risorgimento, era corso volontario, a soli diciotto anni, a partecipare alla prima guerra mondiale perché riteneva che la liberazione di Trento e Trieste fosse la quarta guerra d’indipendenza, il compimento dovuto e necessario del Risorgimento. Naturalmente adorava Garibaldi. Ebbene : io sono nato nel 1930, esattamente settanta anni dopo l’impresa dei Mille, lo stesso identico tempo che è trascorso tra la liberazione della Vostra città ed oggi. Mio padre mi parlava spesso di Garibaldi ed anch’io,naturalmente, mi innamorai dell’Eroe dei due mondi.
Quando avevo sei-sette anni si tenevano ancora, ogni tanto, manifestazioni per ricordare la spedizione dei Mille e comparivano alcuni vecchissimi garibaldini, qualcuno addirittura sulla sedia a rotelle. Ed io dicevo tra me e me : va bé’ . . .sono stati degli eroi . . . ma sono passati settant’anni. . .ancora ‘sti garibaldini! Forse tra voi ragazzi ci sarà oggi qualcuno che penserà più o meno le stesse cose ancora “sti maiellini” ! Ripeto: se ciò fosse, non me la prenderò a male ma ne sorriderò. Non starò dunque qui a ricordare e ad esaltare le gesta della Brigata Maiella, anche perché oggi già qualcuno lo ha fatto e altri nel pomeriggio lo faranno. Ma voglio dire a voi ragazzi due sole cose che debbono necessariamente far parte del vostro patrimonio morale e culturale.
Non c’è bisogno di scomodare Machiavelli per ricordare che il cittadino italiano non ha mai brillato per alto senso dei valori civici e sociali. Già Dante Alighieri aveva mandato all’inferno gran parte dei suoi concittadini e qualche secolo dopo Giacomo Leopardi piangeva sulla pochezza dell’Italia. Ma poi vi sono stati il Risorgimento e la Resistenza, movimenti ancora minoritari nell’ampiezza della “palude” degli indifferenti che ha sempre afflitto il nostro Paese, ma che almeno ci hanno portato due grandissimi valori: la Libertà e la Giustizia. Badate bene ragazzi: Libertà è Giustizia sono un binomio inscindibile, perché senza libertà non c’è giustizia e senza giustizia non c’è libertà.
La libertà è il diritto di ragionare con la propria testa, di esprimere in tutti i modi il proprio pensiero, di raggrupparsi in movimenti e partiti, di leggere i giornali e i libri che si vogliono, di entrare e uscire senza vincoli dal proprio Paese. La giustizia non è solo quella formale ma soprattutto è quella sostanziale cioè quella di eliminare o ridurre al minimo le differenze tra le classi sociali, di redistribuire più equamente la ricchezza nazionale, di offrire a ciascuno dei cittadini le stesse opportunità, di non subire soprusi dal tiranno di turno. Questo noi “maiellini” vi abbiamo regalato, assieme agli eroici e sventurati soldati polacchi che non avevano più una Patria.
Abbiamo liberato la Vostra città al prezzo di sette morti e quindici feriti e vi ricordo solo che tra i nostri Caduti c’era un ragazzo di soli diciassette anni, più o meno come quelli che avete voi adesso: Oscar Fuà, un ragazzo ebreo, che i suoi compagni, lanciati all’assalto, videro inerpicarsi impavido sulle balze del Monticino, col fucile spianato e lo sguardo alto e fiero contro il nemico. Almeno questo, vi prego, non dimenticatelo.
Le condizioni attuali della nostra Patria non sono certo quelle che i “maiellini” volevano: la corruzione dilagante, lo sperpero del pubblico denaro, le ruberie diffuse, la morale politica sotto le scarpe, il proliferare di sciacalli di tutti i generi, e così via. Non è per questa Italia che i “maiellini” hanno combattuto e sono morti. Ma questa è colpa nostra, solo nostra, solo di quelli che sono venuti dopo: è il nostro fardello che ci avvelena e che ci portiamo dietro. E tutto ciò è molto, molto amaro dire e pensare.
Ma vi raccomando con tutto l’affetto che ho per voi giovani: non abbandonate mai la speranza, la speranza in tempi migliori; senza però dimenticare che la speranza non basta da sola a cambiare le cose se non è accompagnata dalla fede e dall’impegno individuale e collettivo esercitati tutti i giorni. Con questi sentimenti, settant’anni fa, si mossero dal lontano Abruzzo martoriato dalla ferocia nazista i miei compaesani per arrivare combattendo fin qui ed oltre. Rendiamo omaggio ai vivi e ai morti, non lasciamoli cadere nell’oblio. Grazie a tutti. Brisighella, 6 dicembre 2014.
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