VITTORIO TRAVAGLINI
Avevo diciannove anni quando morì Vittorio Travaglini. Ero quindi abbastanza grande per poter dire di averlo conosciuto bene: e poiché la natura mi ha fornito di un'ottima memoria non ho di lui una vaga reminiscenza ma ricordi ben circostanziati e precisi.
Alcuni anni prima che la sua vicenda personale si incrociasse con quella della Brigata Maiella lo ricordo quando lui – nativo di Casalbordino – esercitava a Torricella Peligna la professione di medico veterinario. Nella farmacia, che era di un mio zio, a quell'epoca si usava che vi si radunassero i "notabili del paese": il podestà, il parroco, il notaio, l’avvocato, il medico e così via e, appunto, Travaglini. Io – che amavo sentire i discorsi dei "grandi" – mi intrufolavo spesso e già innamorato della montagna com'ero pendevo dalle sue labbra quando raccontava delle escursioni che faceva nei boschi tra Montenerodomo e Pizzoferrato e delle ascensioni sulla Porrara e sulla Maiella. Amava vestire sportivo: giacche di velluto, camicie di flanella, stivali. Aveva una motocicletta rossa (mi pare una Guzzi 250) con cui andava a visitare i suoi "pazienti" nelle campagne e una nidiata di figli piccoli.
Nell'agosto del 1942 organizzò una gita alla Grotta del Cavallone – impresa non facile per quei tempi – a cui parteciparono un folto gruppo di signori e signore di Torricella ed alcuni ragazzi, tra cui io dodicenne (e fu la prima volta che salii sulla mia amata Maiella).
Dopo la drammatica occupazione tedesca, culminata con l'esodo forzato delle popolazioni e la distruzione dei paesi, lo rividi a Casoli, dove migliaia di sfollati si erano rifugiati e che gli inglesi avevano già liberato. In modo assolutamente naturale fu uno dei primissimi collaboratori di mio padre nella formazione e nella organizzazione dei primi nuclei di quella che diventerà la Banda Patrioti della Maiella e potei subito constatare il suo entusiasmo, il suo senso pratico la sua dedizione alla causa che aveva scelto ma – soprattutto – la sua eccezionale umanità. Negli scalcinati uffici del Comando riceveva le domande di arruolamento dei volontari, compilava i ruolini dei plotoni e – sempre sotto le direttive di mio padre – contattava i comandi inglesi per ottenere armi, vestiario, equipaggiamento e vitto per la nascente formazione. Lavorava indefessamente, seduto ad un tavolo tondo, con l'immancabile sigaretta tra le mani. Ma il tanto lavoro non gli impediva di occuparsi, con enorme partecipazione emotiva, della sorte delle migliaia di persone che erano arrivate, e continuavano ad arrivare, a Casoli nelle più tragiche condizioni di miseria e di privazioni: li confortava, cercava di aiutarli, pregava il podestà e il Town Major del paese di trovare loro un alloggio o almeno un riparo. La straordinaria umanità che dimostrava in queste occasioni è ben testimoniata dai tre bellissimi articoli che scrisse per il volumetto "La lotta contro il nazi-fascismo" che fu pubblicato a Casoli nel maggio 1944 e che ora possono rileggersi nel libro "Casoli, 5 dicembre 1943" edito da Ranieri di Pescara.
Lo rividi poi – nel settembre 1944 – a Recanati dove la "Maiella" si trovava a riposo dopo la liberazione delle Marche e la gloriosa conquista di Pesaro e quando gli alti Comandi alleati e italiani avevano deciso la complessa riorganizzazione della formazione che passava da Banda Patrioti della Maiella a Gruppo Patrioti della Maiella (ma l'unità fu sempre conosciuta come Brigata Maiella, nome che le avevano dato gli inglesi). Riorganizzazione che comportava l'istituzione di Compagnie al posto dei vecchi Plotoni, la fornitura di nuove divise, di nuovi armamenti, di nuovi equipaggiamenti e, soprattutto, il quasi triplicarsi degli effettivi che passavano da circa cinquecento ad oltre mille. In questo periodo il lavoro di Travaglini e dei suoi collaboratori della Compagnia Comando divenne frenetico e lui lo svolse sempre col sorriso sulle labbra e con una incredibile determinazione. Capitò che dormissimo insieme, su due brande militari affiancate, in una sala di Palazzo Antici (la famiglia della madre di Leopardi). Era sempre l'ultimo a rientrare la sera: lo vedevo avanzare nella sala illuminata dalla torcia elettrica, spogliarsi, pulire accuratamente gli occhiali, spegnere la torcia, fumare l'ultima sigaretta e addormentarsi.
In questo periodo Travaglini si recò più volte in Abruzzo per reclutare nuovi volontari ma, anche in queste occasioni, non si limitò a svolgere il suo lavoro ma si occupò anche appassionatamente delle tragiche condizioni in cui versavano le popolazioni dei paesi distrutti, ormai ridotte quasi solo a vecchi, donne e bambini, essendo gli uomini impegnati nella guerra di Liberazione o dispersi nelle altre sciagurate guerre fasciste. Con il suo entusiasmo e la sua appassionata partecipazione bussò a tutte le porte, chiese aiuto a tutte le possibili autorità civili, militari e religiose, perché fornissero medicinali, viveri e vestiario alla povera gente, si umiliò persino davanti al disinteresse e all'egoismo di tanti. La sua popolarità crebbe vistosamente in tutto l'Abruzzo e presto fu accompagnata dalla espressione "apostolo": Travaglini era davvero un apostolo.
Incontrai di nuovo Travaglini, nominato Aiutante Maggiore del Gruppo, nel dicembre 1944, a Modigliana in Romagna dove comandava la "Base B" del Gruppo stesso composta dalla Compagnia Comando e dai magazzini armi, vestiario, equipaggiamenti, mentre la "Base A" con i reparti di linea, il servizio sanitario, il Comandante Ettore Troilo e il Vice Comandante Domenico Troilo aveva appena ultimato la conquista di Brisighella e si trovava a Zattaglia. Infine rividi per l'ultima volta Travaglini in divisa, il 15 luglio 1945 a Brisighella dove si svolse la cerimonia di scioglimento della Brigata e dove, nella sfilata dei reparti lungo il paese, ebbe l'onore di affiancare la bandiera di combattimento e dove ricevette dal Ministro della Guerra l’"encomio solenne", massimo riconoscimento per combattenti.
Ultimate le operazioni di scioglimento si trasferì a Torricella Peligna da cui era partito per dirigere con l'aiuto di alcuni collaboratori l'Ufficio Stralcio ancora una volta con una enorme mole di lavoro perché si trattava di riordinare l'intero archivio della formazione definendo ad una ad una le posizioni dei patrioti, in vista di compilare l'elenco completo di quanti avevano i requisiti necessari per ottenere il riconoscimento di "combattenti della Guerra di Liberazione" che un'apposita commissione ministeriale si accingeva a rilasciare a seguito di un Decreto Legge che riguardava in particolare lo status giuridico della "Maiella".
Ultimato questo lavoro, che lo impegnò per circa un anno, Vittorio Travaglini non tornò alla sua professione di veterinario ma fu nominato Direttore di un ufficio staccato del Ministero per l'assistenza Post-bellica, sempre con sede a Torricella. L'opera che riuscì a svolgere in questa veste fino al momento della sua morte fu gigantesca. Con una vecchia ambulanza girava continuamente i paesi distrutti distribuendo medicinali, viveri, vestiario, tutto ciò che riusciva a racimolare presso gli enti e i privati, in aiuto alle popolazioni tuttora viventi in condizioni pietose, in paesi diroccati, senza acqua né luce, senza speranza di ricostruzione. Un'opera che culminò con la sistemazione di centinaia di bambini bisognosi presso famiglie amiche delle Marche, che avevano conosciuto la "Maiella" durante la Liberazione.
La sua fama crebbe all'infinito, la gratitudine di migliaia di persone fu il suo unico premio. Ricorda uno dei suoi figli, che allora aveva quattro anni, che tornando con l'ambulanza da un giro, erano avanzati alcuni giocattoli e ne chiese uno al padre, ma questi rifiutò dicendo: «tu non hai bisogno di nulla e questi sono dei bambini che, come hai visto, non hanno niente, neppure da mangiare».
Io stesso accompagnai più volte Travaglini in queste ispezioni con l'ambulanza e posso testimoniare che l'umanità che lui dimostrava verso la gente misera che si accalcava attorno alla vettura aveva un riscontro solo nella gratitudine e nell'amore che questa gente gli manifestava. Posso concludere questo breve ricordo dicendo semplicemente che Vittorio Travaglini era l’uomo di più alta coscienza morale che io abbia conosciuto nella mia vita.
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