Sul versante tirrenico, il 9 settembre 1943, appena dopo il proclama Badoglio, la V Armata Alleata sbarcò sulla costa nelle vicinanze di Paestum occupando l'intera costa fino a Salerno e Napoli, dove si svolsero cruenti scontri con le truppe tedesche che intanto si stavano riorganizzando, anche perché era venuto meno l'apporto delle forze armate italiane che si erano arrese agli alleati il 3 settembre 1943 firmando l'armistizio di Cassibile.
L'armistizio era stato chiesto al Generale Eisenhower dal comandante in capo delle Forze Armate Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio e fu reso pubblico con il proclama dell’8 settembre 1943 dallo stesso Generale Badoglio, che lo lesse alla Radio Italiana. Il proclama registrava:"....l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria...." e alla fine dichiarava una specie di cobelligeranza con gli Alleati contro i tedeschi che, alleati di ieri erano improvvisamente diventati i nemici di oggi.
Per l'Italia e per gli italiani che accolsero l'armistizio come il ritorno della pace, questo atto si rivelò in effetti essere una vera tragedia: in seguito ad esso la guerra fu portata direttamente sul territorio italiano e coinvolse anche i civili. I tedeschi, ieri alleati, considerarono tutto il popolo italiano, compreso vecchi, donne e bambini come un popolo di traditori da punire e da annientare nelle forme più feroci.
Dopo l'armistizio le forze armate italiane si dissolsero e i soldati, sbandati e senza ordini, si dispersero in tutte le direzioni. Un simulacro di esercito italiano rimase con il nome di "Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.), alle complete dipendenze delle Forze Armate Alleate che mal lo sopportavano. Intanto sul suolo italiano la guerra continuava tra le gli Alleati e i Tedeschi.
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Gli stretti e profondi rapporti fra la famiglia del Prof. Antonio Gasbarrini e l’Abruzzo, nel quale era nato alla fi ne del XIX secolo, raggiungono un valore altamente signifi cativo nell’incontro tra il Prof. Gasbarrini e gli uomini della Brigata Maiella, che alla fi ne della seconda guerra mondiale partirono dall’ Abruzzo liberato insieme agli alleati anglo-americani e inseguirono gli invasori tedeschi fi no alla liberazione dell’Italia.
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L’Abruzzo non fu durante il fascismo, come solitamente si ritiene, un’isola felice. Nel corso del 1922, anche nella nostra regione si scatenarono una serie crescente di violenze. Accoltellamenti, uccisioni, occupazione di paesi a mano armata, attacchi alle Camere del lavoro, attentati ai tralicci. Ma il vertice della ferocia si raggiunse a Sulmona. Non ci si limitò ad uccidere, ma si infierì sulla vittima. Una storia ormai caduta nel più totale oblio e di cui resta una scarna documentazione.
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Era bel “ragazzone”; a vederlo sembrava già un uomo, dimostrando più degli effettivi quattordici anni; nello stabilimento aveva la qualifica di ragazzo perché non aveva ancora l’età per essere assunto come apprendista meccanico; era addetto alla forgia, il suo compito consisteva nel tenere acceso e vivo il fuoco della fucina. Anch’io, quando entrai alla DINAMITE NOBEL, esattamente il 10 marzo 1941, fui assunto come ragazzo, quindi conoscevo la trafila delle qualifiche! La mattina del 27 agosto 1943, il mio capo reparto mi aveva assegnato il compito di saldare le lamiere per costruire un serbatoio di alluminio per il contenimento dell’acido solforico e acido nitrico, elementi essenziali ai fini della produzione della dinamite. I serbatoi, data la loro imponente stazza, dovevano essere necessariamente costruiti fuori officina, per cui il mio lavoro si svolgeva all’esterno della fabbrica, nel piazzale tra il capannone e il muro di cinta. Erano le 10,30 circa di quella mattina, soleggiata e limpida, quando squillarono le potenti sirene poste sulla torretta della caserma della milizia (piazzale Santa Monica) di Sulmona. Venivano messe in funzione per segnalare a tutta la valle Peligna il pericolo di incursioni aeree anglo americane; il loro suono avvertiva le popolazioni di correre al riparo nei rifugi antiaerei ricavati per lo più negli scantinati dei grandi palazzi. Per noi, dipendenti dello stabilimento polverificio DINAMITE NOBEL sito alle falde del monte San Cosimo, il suono delle sirene era considerato solo preallarme, poiché noi, considerati militari in quanto dipendenti di struttura militarizzata subordinata al Ministero della Guerra, potevamo lasciare il lavoro solo in caso di effettivo pericolo. Mi ricordo bene che io, pur continuando a saldare, ogni tanto sollevavo gli occhiali dal saldatore per dare uno sguardo al cielo; avevo le orecchie tese a ogni minimo rumore sospetto; mi consideravo una vedetta, essendo l’unico che lavorava fuori dell’officina, pronto ad allertare chi lavorava dentro, non solo i meccanici ma anche i falegnami. Ogni tanto interrompevo per qualche istante il lavoro; mi fermavo per scrutare il cielo, verso il Morrone, la Maiella e le altre montagne che racchiudono la nostra bella valle. Verso le 11, avvertii un rumore simile a un ronzio; m’insospettii, alzai gli occhiali scuri da saldatore ma non vedevo niente, eppure il ronzio era chiaramente avvertibile; allora mi dissi: forse “me lo fanno le orecchie”, come si suole dire qui a Sulmona; mi rassicurai e continuai a lavorare. Eppure quel ronzio era sempre più forte.
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L’inverno trascorso tra il 1943 e il 1944 fu un inverno freddissimo, le abbondanti nevicate contribuirono a mettere a dura prova la vita delle nostre popolazioni, in conseguenza del fatto che la nostra città veniva a trovarsi nelle immediate retrovie del fronte di guerra denominato Linea Gustav per cui fu sede di grande movimento di truppe germaniche Si può facilmente immaginare il disagio e le difficoltà che questo comportò alla vita della nostra popolazione. Cito questi casi perché molto spesso mi torna in mente un episodio di strano comportamento da parte di un certo ufficiale del disciolto Esercito Italiano conosciuto come il Tenente P. ufficiale del Battaglione Lanciafiamme di stanza a Sulmona, rimasto a Sulmona, non si sa bene, dove e come. Lui con la neve e con il ghiaccio la mattina era lì a fianco del fontanone di Piazza Garibaldi.
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18 Gennaio - Torniamo al fronte dietro Monte Mauro dando il cambio agli scozzesi. - 3a Compagnia 2° Plotone a casa Crivellari.
21 Gennaio – Pattuglia di 8 uomini per avvicinarci al fiume. Obiettivo Casa Trinzano. Raggiungiamo Casa Pridella presidiata da un plotone della I Compagnia, iniziamo la discesa verso Casa Trinzano, constatiamo che non ci sono occupanti: evidentemente sono attestati al di la del fiume. Stiamo rientrando verso Casa Pridella e sentiamo in quella direzione raffiche di armi automatiche sia nostre che tedesche; a circa 100 metri dalla casa ci fermiamo disponendoci sulla neve a semicerchio pensando che gli attaccanti, ritirandosi, possano cadere sotto il nostro tiro. Questo non avviene e dopo pochi minuti riprendiamo il cammino.
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